La comodità è figlia della pigrizia. Quest’ultima ha una discendenza pericolosa, tra cui spiccano le nipotine della messaggistica istantanea la più vivace delle quali è certo WhatsApp.
Quest’ultima soluzione prende facilmente per mano chi lavora da remoto o semplicemente si trova fuori ufficio: è suadente e abbordabile anche per chi non ha competenze tecnologiche, è traditrice perché non offre nessuna garanzia di riservatezza.
La sua facilità di impiego la rende immediatamente familiare, ma chi la utilizza non ne valuta l’affidabilità e spesso ne fa un uso che non di rado espone a rischi e compromissioni la riservatezza del “business”.
WhatsApp diventa il Mercurio dell’Olimpo dello smart working, il fedele servitore di chi vuole sbrigarsi e non perdere tempo: gli si affidano comunicazioni delicate, gli si dà il compito di veicolare documenti di estrema criticità, gli si delega il recapito di foto e audio con i dettagli di attività che dovrebbero restare segrete, gli si consegnano inconsapevolmente le chiavi dell’ufficio e in particolare quelle dei cassetti più riservati.
Il 38% dei professionisti ogni tanto fotografa documenti di lavoro per spedirli tramite WhatsApp, e il 41% ammette di inviare informazioni di lavoro confidenziali
Basterebbe chiedere a chi se ne serve se ha mai considerato il rovescio della medaglia. La risposta oscillerebbe tra un infastidito “ma figurati” ed un compiaciuto “così faccio prima e non spendo nulla”. Ad increduli, frettolosi e parsimoniosi toccherà in sorte l’opportunità per ricredersi. Si maledirà nonna Pigrizia e pure sua sorella Furbizia, ma sarà troppo tardi.