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Azienda sanitaria condannata al risarcimento: Donna chiede rimborso per spese mediche sulla procreazione assistita, i suoi dati finiscono sul web.

Azienda sanitaria condannata al risarcimento: Donna chiede rimborso per spese mediche sulla procreazione assistita, i suoi dati finiscono sul web.

Dopo essersi sottoposta a una prestazione di procreazione medicalmente assistita fuori regione, una signora richiedeva alla Direzione del Distretto Sanitario Cosenza/Savuto il rimborso delle spese sostenute. Accordato il rimborso, nello stesso giorno la struttura pubblicava integralmente la delibera autorizzativa sull’Albo Pretorio, rendendo così pubblici dati di natura particolare della paziente relativi alle patologie della stessa e ai trattamenti eseguiti. I coniugi adivano il Tribunale dolendosi di avere subito danni morali, alla vita di coppia e di relazione, al nome, all’immagine e all’onore.

L’Azienda Sanitaria di Cosenza (A.S.P.) eccepiva di avere oscurato i dati personali della signora entro ventiquattrore dalla pubblicazione e comunque di non avere menzionato patologie e prestazioni specifiche ma solo un acronimo e l’indicazione del provvedimento di legge.

La decisione dei giudici – Con provvedimento asciutto e diretto il Giudice riconosceva fondata la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali.  (Sentenza del 3 aprile 2021 Tribunale di Cosenza) Contrariamente a quanto eccepito dalla convenuta, riteneva pacifico che la delibera pubblicata integralmente, anche se solo per poche ore, conteneva “i dati sensibili riguardanti i nominativi e le relative patologie e i trattamenti sanitari eseguiti per un concepimento medicalmente assistito fuori regione, nonché le coordinate bancarie” del conto del marito della signora. In questo modo l’Azienda Sanitaria aveva rivelato a soggetti non tenuti necessariamente a esserne edotti aspetti inerenti la salute, la vita sessuale e le prestazioni sanitarie cui la signora era stata sottoposta, divulgandole in modo illegittimo e quindi violando gli obblighi di riservatezza e di privacy, in difetto altresì sia di una disposizione di legge che di un rilevante interesse pubblico alla loro diffusione.

Accertati il danno alla privacy, la sofferenza, lo stress causato e l’incidenza di tutto ciò sulle abitudini di vita, il Giudice citava l’art. 1223 c.c. (rubricato risarcimento del danno), esplicitandone l’analogia con la fattispecie in esame e statuiva che la perdita era costituita dalla “diminuzione o dalla privazione di un valore, per quanto non patrimoniale, della persona umana alla quale il risarcimento deve essere commisurato”. Condannava quindi la convenuta al risarcimento del danno ex art. 2059 c.c., sebbene per una somma molto minore di quanto inizialmente richiesto.

I precedenti – La vicenda riguarda molto quella affrontata dal provvedimento Autorità Garante numero 213 del 12 aprile 2018, doc. web numero 8576011. L’autorità garante era intervenuta impedendo ad un’amministrazione comunale di continuare a pubblicare online, sul proprio albo pretorio, delibere concernenti l’esenzione dell’imposta dei rifiuti in favore di soggetti con patologie invalidanti o un grave disagio economico. Peraltro, i fatti si sono verificati nello stesso arco temporale. In ogni caso, sono molti i provvedimenti dell’Autorità Garante volti a sanzionare comportamenti poco ortodossi di uffici pubblici, preoccupati più di pubblicizzare che di minimizzare. Ciò nonostante, ormai da anni, siano state pubblicate linee guida sul trattamento dei dati personali relativamente la trasparenza e gli obblighi sui siti web della pubblica amministrazione pubblicate con provvedimento numero 243 del 15 maggio 2014, doc. web 3488002.

Mai così vero, la semplicità è difficile a farsi.

 

FONTE: FEDERPRIVACY

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